La ceramica a Deruta

La lavorazione della ceramica a Deruta è documentata sin dal 1282 anno in cui compare un’annotazione, nel registro della cattedrale di Perugia, che fa riferimento al pagamento di un censo tramite una “soma di vasi” in luogo del denaro. Sempre da antichi documenti, si è accertato che, già nel 1277, le fornaci di Deruta producevano mattoni per il comune di Perugia. Gli oggetti di questo primo periodo, di stili e tipologie simili a quelle di altri centri, sono destinati all’uso quotidiano e risultano decorati, su smalto di colore grigiastro, con i colori verde rame e bruno manganese. Verso la fine del ‘300 la tavolozza dei colori si amplia inserendo il blu e il giallo. Dalla metà del Quattrocento, le fornaci derutesi si distinguono per una produzione ricca ed abbondante, dal punto di vista delle forme, realizzate al tornio e dei decori. Caratteristica del periodo è la produzione di piatti da pompa ovvero, oggetti celebrativi realizzati con immagini amorose, di caccia o di guerra, recanti spesso stemmi araldici e descrizioni su cartiglio. Particolare è anche la produzione di albarelli e vasi da farmacia. Sul finire del secolo, compare a Deruta una tipologia denominata “petal back” per la presenza di decorazioni a forma di petali, realizzate sul verso dei piatti, dipinti sul recto con soggetti ispirati alla pittura rinascimentale. Questo periodo storico è dominato dalla produzione di ceramiche “a lustro”, una tecnica di origine medio-orientale, che consiste nell’applicare delle finiture dorate agli oggetti che vengono cotti a “terzo fuoco”, a bassa temperatura e in atmosfera riducente. Le produzioni lustrate renderanno famosi gli artigiani di Deruta. Soggetti mitologici ed allegorici sono tratti dalla scuola pittorica umbra del tempo. Il Rinascimento segna una svolta decisiva nelle forme. L’aspetto decorativo prevale su quello funzionale. Importanti sono pure i pavimenti, prodotti in questo periodo. Tra questi è da citare il pavimento, datato 1524, rinvenuto, nel 1902, all’interno della chiesa di S.Francesco. Quest’opera, a lungo rimasta senza autore, è stata attribuita a Nicola Francioli detto “Co”. Quest’ultimo, è il titolare di una delle 50 botteghe artigiane attive a Deruta tra il 1300 e il 1500. Insieme al “Co” sono da ricordare i Masci, i fratelli Maturanzio, i Lelli i Del Bianco e Giacomo Mancini detto “El Frate”, il più famoso di una grande famiglia di ceramisti. Tra la fine del ‘500 e per tutto il Seicento si afferma lo stile “compendiario” poco attento alle soluzioni formali e allo studio anatomico delle raffigurazioni. Anche il genere “istoriato” viene realizzato in stile “compendiario”. Testimonianza visibile ne è la raccolta di mattonelle “ex voto” all’interno del Santuario della Madonna dei Bagni. Nel Settecento, le fabbriche diminuiscono di numero ma la produzione continua ad essere molto apprezzata. Documenti dell’archivio comunale ci dicono che, verso la fine del ‘700, sono attive a Deruta le fornaci di Pasquale Bravetti, Mario Caselli, Giuseppe Cocchi, Bastiano Grazia e Giuseppe Grazia. Lo stile “compendiario”, nel secondo Settecento, è ormai decisamente abbandonato per uno stile più colto e formale. Nella seconda metà dell’Ottocento la produzione derutese decade fino a che in città rimangono attive solo 5 fabbriche che producono vasellame ordinario e non più oggetti artistici. Fattori socio-culturali ed economici incidono negativamente su questo periodo storico. Studi ceramologici e ricerche di amatori e collezionisti, favoriscono la ripresa artistica ed industriale, a partire dalla esposizione a premi organizzata dal Comune di Deruta nel 1872.
Dalla mostra nacque forse la prima idea di costituire un museo dove raccogliere le antiche ceramiche. Grazie all’opera svolta da Francesco Briganti, Angelo Micheletti e quindi da Alpinolo Magnini, nei primi del Novecento, grazie all’avvio di una scuola di disegno per ceramica, la produzione riprese con l’apertura di molte fabbriche, all’interno delle quali lavoravano maestranze specializzate. Attualmente, Deruta conta oltre duecento fabbriche attive, dalle quali esce il 32% dell’intero prodotto ceramico nazionale e che la fanno essere la realtà del settore più importante del Paese e un esempio unico al mondo di una sorta di monoeconomia, con oltre mille addetti.
Mauro Branda – Anna Lisa Piccioni

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